La titolarità del diritto d’autore e il plagio: le accuse di Daniel Druet e Joe Morford nei confronti di Maurizio Cattelan

Risale alla scorsa estate la sentenza del tribunale per la proprietà intellettuale di Parigi che ha respinto la richiesta di Daniel Druet di vedersi riconosciuta la paternità di diverse sculture realizzate tra il 1999 e il 2006 su commissione dell’artista italiano Maurizio Cattelan.

La pronuncia affronta alcuni aspetti fondamentali alla base del diritto d’autore e consente di aggiungere un nuovo tassello giurisprudenziale alla definizione di concetti spinosi spesso legati all’inquadramento giuridico delle opere di arte contemporanea.

Lo scultore, al quale Cattelan aveva commissionato la realizzazione di diverse opere tra le quali anche le famosissime “La Nona Ora” e “Him”, ha citato in giudizio il gallerista, Emmanuel Perrotin, e la Monnaie de Paris, dove si era svolta nel 2016 la mostra “Not afraid of Love”, con l’intento di vedersi riconosciuta la paternità delle opere e un risarcimento.

Druet, infatti, sosteneva che il suo apporto nella realizzazione delle predette opere era tale da renderlo autore esclusivo delle stesse e non mero professionista/artigiano che si era occupato della loro realizzazione.

Il fulcro dell’intera riflessione, dunque, ruota attorno al diritto morale di paternità e all’annosa questione dell’individuazione dei diversi contributi per la realizzazione di un’opera dell’ingegno e al loro peso in termini di autorialità sulla stessa.

I giudici francesi, però, hanno respinto le istanze di Druet sostenendo che “è indiscusso che le precise direttive per allestire le sculture di cera in una specifica configurazione, relative in particolare al loro posizionamento all’interno degli spazi espositivi volti a giocare sulle emozioni del pubblico (sorpresa, empatia, divertimento, repulsione, ecc.), sono state emanate solo da Maurizio Cattelan senza Daniel Druet, non essendo in alcun modo in grado – né cercando di farlo – di arrogarsi la minima partecipazione alle scelte relative alla disposizione scenografica della presentazione delle dette sculture (scelta dell’edificio e dimensione delle stanze che assecondano il carattere, la direzione dello sguardo, l’illuminazione, persino la distruzione di un tetto in vetro o di un pavimento in parquet per rendere l’allestimento più realistico e suggestivo) o al contenuto del possibile messaggio facente parte dell’allestimento”.

Dalla sentenza, dunque, si evince un principio fondamentale soprattutto in relazione all’arte contemporanea e alla cosiddetta arte concettuale. Sebbene, infatti, l’idea in sè e per sè non sia tutelata dal diritto d’autore, la sua espressione in termini concettuali, con un grado di precisione come quello individuato dalle indicazioni di Cattelan, costituisce oggetto di tutela del diritto d’autore ed è proprio chi ha concepito l’opera e la sua messa in scena che può dirsi autore della stessa. Druet, dunque, avendo pedissequamente seguito le indicazioni di Cattelan, secondo il Tribunale, non può essere qualificato come autore della stessa, men che meno come  autore esclusivo, per quanto la sua opera sia realizzata con estrema perizia, professionalità e abilità.

Tale affermazione fissa un punto fermo cruciale in rapporto all’arte concettuale, espressione artistica in cui molto spesso gli autori delle opere non coincidono con coloro che realizzano le stesse nel concreto.

Inoltre, il tribunale per la proprietà intellettuale di Parigi ha giudicato irricevibile il ricorso perché Druet ha citato il gallerista e il museo senza invece coinvolgere direttamente Cattelan, il soggetto cioè che si era sempre qualificato come autore delle opere in questione, e che per tanto si presume tale fino a prova contraria.

Un altro importante aspetto legato alla vicenda in esame riguarda la correlazione tra diritto d’autore e rapporto di committenza.

Sebbene dalla sentenza pubblicata non emerga approfonditamente il rapporto che legava Cattelan a Druet, il tema della committenza potrebbe avere un significato rilevante in un caso del genere.

Calando l’episodio nell’ordinamento italiano, infatti, il tema dell’opera su commissione presenta aspetti rilevanti nel caso di specie. Sebbene i diritti morali e i diritti di utilizzazione economica dell’opera spettino generalmente all’autore per il fatto della creazione e sin dal momento in cui l’opera viene ad esistenza, in Italia nel caso di un’opera dell’ingegno creata su commissione (nell’ambito di un contratto di prestazione d’opera o di un contratto di appalto) i diritti patrimoniali spettano al committente/appaltatore, nei limiti indicati dalla legge (per es. software, banche dati) o dal contratto.  Quest’ultimo, dunque, diviene centrale perchè, regolando i rapporti tra committente e commissionario, definisce la titolarità del diritto d’autore che, in assenza di previsioni specifiche, viene attribuita al committente.

In tal senso, è fondamentale indagare la volontà delle parti nel contratto di committenza per circoscrivere ed individuare con certezza i rapporti tra i soggetti coinvolti e i riflessi di questi ultimi sulla titolarità dell’opera.

La sentenza francese si inserisce in un lungo percorso di interpretazione giurisprudenziale che mira a specificare e definire il contenuto del diritto d’autore e l’oggetto della protezione, chiarendo aspetti peculiari della tutela e della definizione della titolarità sulle opere dell’ingegno.

Non sembrano però essere giunti al termine i procedimenti legali a carico di Cattelan.

Nel luglio scorso, Joe Morford ha infatti intentato una causa negli Stati Uniti contro l’artista italiano, sostenendo che l’opera “Comedian” di quest’ultimo, esposta nello stand di Perrotin ad Art Basel Miami Beach nel 2019, è un plagio della sua opera “Banana & Orange”.

Morford ha affermato, infatti, che Cattelan avrebbe copiato la sua opera, registrata al Copyright Office degli Stati Uniti nel 2000, le cui riprese erano già disponibili su YouTube dal 2008, su Facebook dal 2015 e sul proprio sito Web dal 2016.

Il giudice ha respinto la richiesta degli avvocati dell’artista italiano di rigettare la causa, che sostenevano che il nastro adesivo e la frutta non potessero essere tutelati dalle leggi sul diritto d’autore, e che non c’erano prove che dimostrassero che Cattelan vide in passato il lavoro di Morford, prima di creare la propria opera.
Secondo il giudice, però, ci sono i presupposti per proseguire la causa e determinare dal punto di vista sostanziale il limite di demarcazione che si frappone tra le due opere considerate simili.
Rimaniamo, dunque, in attesa di seguire gli sviluppi del caso per approfondire le argomentazioni dei giudici americani.

 

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Originality, by jonjomckay, CC BY 2.0
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